Salesiani: la strada non è quella giusta
Il recupero di un nucleo edilizio storico come il complesso dei Salesiani per ritrovare funzionalità importanti per la città è sicuramente un obiettivo condivisibile. Tocca i ricordi di una generazione, ma, soprattutto, può dare prospettive a servizi collettivi e ad attività economiche.
L’amministrazione manfreda però, non ha scelto la strada giusta.
Ha scelto una strada tortuosa, onerosa, non trasparente e, soprattutto, senza prospettive certe. Alla fine di quella che sembra più una catena di favori privatistici, che un progetto di interesse pubblico, il Comune di Faenza con gli affitti che si vincola a pagare non risparmierà nulla rispetto a quello che già spende per l’utilizzo di immobili non suoi, ne abbandonerà altri di proprietà, ripagherà tutto il debito che Faventia Sales contrae per la ristrutturazione e rimarrà proprietario solo di una parte del complesso, avendo una quota del 46% della società proprietaria.
Ad ogni fase di questo progetto, che si sta protraendo troppo a lungo per avere la credibilità che dovrebbe avere, si sarebbe potuta fare una scelta migliore. Perche’ costituire una onerosa società per azioni, anzichè una società con struttura più semplice? Perchè non essere socio di maggioranza o prevedere accordi parasociali che assicurino al Comune la possibilità di veto su scelte in contrasto con il recupero e la riconsegna del complesso alla città e ai cittadini e con la trasparenza dovuta per i progetti pubblici? Perchè non indebitarsi direttamente, risparmiando su affitti pagati a terzi per uffici pubblici che potevano essere trasferiti in questo complesso e con questo pagare il debito di ristrutturazione?
Si è costituita nel 2005 una Società per azioni fra Comune, Diocesi, Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza e Banca di Romagna, con un capitale di 8,5 milioni, servito per acquistare l’immobile dall’Istituto Salesiano S. Francesco, che ha inteso liberarsene. Subito è stata venduta la parte chiamata “Casa delle suore” alla Fondazione per 326.000 euro. Sono state eseguite parziali ristrutturazioni nel corso del tempo consentendo un utilizzo molto parziale del complesso ed indebitando la società, che al 31/12/2014, ultimo dato ufficiale disponibile, aveva 1,7 milioni di debiti verso le banche. Per di più parte di questi lavori, costati 1 milione, risultano inadeguati e richiedono una nuova ristrutturazione per essere a norma.
La società ha accumulato perdite per 429.078 euro in 3 degli ultimi 4 esercizi e lascia perplessi l’entità di alcune spese. Si sono persi i ricavi che sarebbero derivati dall’affitto del bar, circa 45.000 euro dal 2014 ad oggi, perché è stata venduta alla Fondazione una porzione del complesso in cui è stata aperta una attività analoga (Mens Sana) e chi doveva aprire il bar ha rinunciato. Ad oggi, quindi, il canone di affitto va a beneficio della Fondazione e non di Faventia Sales, un vero e proprio cortocircuito. Questa vendita ha consentito alla società di chiudere un bilancio in utile per 78.090 euro nel 2012, ciò non mitiga affatto le pesanti perdite già citate, ma così il Comune ha potuto evitare di dover cedere la sua quota societaria, come previsto dalle norme per quelle partecipazioni che subiscono perdite per 3 anni consecutivi.
Da mesi in città si susseguono occasioni di presentazione del progetto finale, dopo l’affidamento della progettazione all’architetto Cristofani dello Studio Magaze. Nulla da eccepire nel merito sul progetto, ma siamo ancora a caccia di risorse. Sono previsti 4,5 milioni per l’intero intervento, di cui 800.000/1 milione per il solo Oratorio; la prima parte, pari a 2 milioni, la società Faventia Sales ritiene di recuperarla indebitandosi ulteriormente, mentre l’azionista Comune di Faenza dichiara che questi fondi arriveranno dalla vendita di parte dell’immobile a Ravenna Holding, che lo acquisterà ristrutturato e con un contratto di affitto che gli permetterà di recuperare la spesa sostenuta per l’acquisto. L’affittuario è il Comune di Faenza. È importante che sia il Comune a prendere questo impegno, perché un soggetto privato, con un normale contratto di affitto, si impegnerebbe per 6 anni, rinnovabili per altri 6, mentre una convenzione con il Comune, può stabilire un impegno ben più lungo, assicurandosi entrate certe. Una parte più contenuta di questo primo intervento verrebbe finanziata con la modalità del project financing: impresa/e di ristrutturazione e proprietà si accordano, l’una per concedere lo sfruttamento economico delle opere ristrutturate, l’altro per eseguire i lavori con proprie risorse. Val la pena ricordare che in Italia questa modalità ha registrato molti insuccessi, poichè chi eseguiva i lavori si indebitava per poi recuperare risorse ad opera terminata, ma se nel corso dei lavori si verificano problemi, o chi deve assicurare i ricavi con l’affitto dell’immobile non vede decollare l’attività e non è in grado di pagare, poi vengono travolti a ritroso tutti i soggetti coinvolti, da chi ha eseguito i lavori alla proprietà dell’immobile.
In tutto ciò non deve sfuggire che utilizzando una Società per azioni in cui il Comune è socio di minoranza con il 46%, non si applicano le norme di trasparenza previste per gli enti pubblici; perciò non c’e’ obbligo di bandi di gare per assegnazione dei lavori, non c’e’ obbligo di rispondere a richieste informative su nomine, costi ed utilizzo di risorse.
Insomma, non c’e’ obbligo di rendere conto delle scelte. E’ legittimo anche avere dubbi sulla capacità dell’amministrazione di incidere sulle decisioni del consiglio di amministrazione, visto che è in minoranza. In effetti, vedere nella seduta della Commissione consiliare tenutasi il 12 Aprile, il presidente del Cda presentare un progetto che prevede il ricorso al debito per finanziarsi, alla presenza del Sindaco che sostiene che quelle risorse arriveranno dalla vendita di parte dell’immobile, dà evidenza di serie discrepanze sul decollo del progetto.
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